Corso di storia dell'economia: Friedman 1912


Milton Friedman (1912–2006)

Il racconto di un economista che cambiò il modo di vedere la moneta e la libertà

Immagina Brooklyn agli inizi del Novecento: una città di immigrati, dove le opportunità si mescolano alle difficoltà quotidiane. È qui che nasce, il 31 luglio 1912, Milton Friedman, figlio di una famiglia modesta, con una curiosità intellettuale che lo porterà lontano. Morirà a San Francisco il 16 novembre 2006, dopo una vita lunga e attiva che lasciò un segno profondo nel pensiero economico del XX secolo. Nel 1976 gli fu conferito il Premio Nobel per le scienze economiche «per i suoi contributi all’analisi del consumo, alla storia e teoria monetaria e per aver mostrato la complessità delle politiche di stabilizzazione».

Gli anni della formazione: da Rutgers a Columbia, passando per Chicago

Studente brillante, Friedman si laureò al Rutgers (B.A., 1932), proseguì con una M.A. all’Università di Chicago (1933) e concluse con un dottorato a Columbia (Ph.D., 1946). Quegli anni furono fondamentali: a Chicago entrò in contatto con economisti e metodi che plasmarono la sua formazione; più tardi, alla fine degli anni Quaranta, ritornò proprio a Chicago come docente, dando vita a un influente crogiuolo di idee e allievi.

L’esperienza pubblica e la ricerca: Treasury, NBER e l’università

Durante la Seconda guerra mondiale Friedman lavorò su questioni pratiche legate alla finanza pubblica e alle risorse: partecipò a studi per il Tesoro americano e fu attivo nel National Bureau of Economic Research (NBER), portando l’approccio teorico nel terreno delle scelte concrete di governo. Dal 1946 al 1976 fu una figura di punta della facoltà di economia dell’Università di Chicago, dove sviluppò idee che avrebbero poi avuto vasto impatto politico e culturale.

Metodo e primo grande impegno teorico: “Essays in Positive Economics”

Friedman non fu solo un tecnico dei numeri: era anche un pensatore del metodo. Nel saggio Essays in Positive Economics (pubblicato all’inizio degli anni Cinquanta) sostenne che l’economia, come scienza, deve essere giudicata sulla capacità delle sue teorie di prevedere i fatti — non sulla plausibilità psicologica delle ipotesi. Questa distinzione tra positive (ciò che è) e normative (ciò che dovrebbe essere) influenzò il modo in cui molti economisti pensarono alla ricerca: più attenzione al test empirico che ai racconti plausibili ma non verificabili.

Il consumo come storia più lunga: la “permanent‑income hypothesis”

Una delle sue conquiste teoriche più importanti riguarda il comportamento dei consumatori. Nel 1957, con A Theory of the Consumption Function, Friedman propose l’idea di “reddito permanente”: la spesa di un individuo non dipende solo dal reddito dell’anno corrente, ma dalla sua valutazione del reddito atteso nel medio-lungo periodo. Questo spostamento di prospettiva spiegava perché i consumi non reagiscono sempre immediatamente a fluttuazioni temporanee del reddito, e cambiò la politica macroeconomica e l’interpretazione dei dati di consumo.

La storia monetaria che cambiò il dibattito: A Monetary History

Nel 1963 Friedman, insieme ad Anna J. Schwartz, pubblicò A Monetary History of the United States, 1867–1960, un’opera monumentale che analizzò dati monetari su quasi un secolo. Da quel lavoro emerse una tesi forte e provocatoria: le politiche della Federal Reserve contribuirono a trasformare la crisi del 1929 in una depressione più profonda, perché la massa monetaria fu gestita in modo troppo restrittivo proprio nel momento in cui sarebbe servita espansione. Questa interpretazione rilanciò l’importanza della politica monetaria nello studio dei cicli economici.

Monetarismo: idea semplice, conseguenze vaste

Da quelle ricerche nasce il cosiddetto “monetarismo”: l’idea centrale è che la quantità di moneta in circolazione ha un ruolo cruciale nel determinare inflazione, crescita e stabilità economica. Per Friedman controllare la moneta — o almeno evitare grandi e improvvise fluttuazioni nella sua offerta — è una strada più efficace e meno pericolosa di complesse politiche fiscali o interventi discrezionali che rischiano di generare incertezza. Su questa base egli sostenne tassi di cambio flessibili e regole monetarie più prevedibili. Le sue raccolte di saggi e testi tecnici su questi temi includono The Optimum Quantity of Money and Other Essays (1969).

L’intellettuale pubblico: libri, TV e politiche concrete

Friedman non rimase confinato alle aule universitarie. Nel 1962 pubblicò Capitalism and Freedom, un libro pensato per un pubblico ampio in cui collegava libertà economica e libertà politica, proponendo soluzioni liberali per scuola, welfare e mercato del lavoro. Con la moglie Rose produsse, nel 1980, Free to Choose — libro e serie televisiva — che rese le sue idee accessibili a milioni di spettatori, contribuendo a trasformare il dibattito pubblico attorno al ruolo dello Stato nell’economia. Le sue posizioni ispirarono leader politici (si fa spesso riferimento all’onda di politiche negli anni Ottanta, esemplificate da Reagan e Thatcher) e suscitarono al tempo stesso critiche vigorose.

Idee di policy concrete e (a volte) controintuitive

Friedman non si limitò alla teoria: propose strumenti concreti, spesso originali. Tra i più noti:

  • Il sistema di ritenuta fiscale alla fonte (tax withholding) cui partecipò come consigliere in anni di guerra: una scelta pratica che rese il prelievo fiscale più efficiente, ma che egli stesso e altri criticarono successivamente perché rende meno visibile il carico fiscale al cittadino.
  • Il negative income tax (imposta negativa sul reddito): un’idea pensata per garantire un minimo di reddito a chi è povero attraverso un meccanismo fiscale semplice e trasparente — un’alternativa (per Friedman) ai complicati programmi assistenziali che distorcono gli incentivi. Questa proposta influenzò i dibattiti di politica sociale negli anni Sessanta e Settanta.
  • Le school vouchers (buoni scuola): l’ipotesi che i finanziamenti pubblici seguano gli studenti invece di essere vincolati alle scuole, per introdurre competizione e scelta nel sistema educativo; idea che Friedman sostenne fin dagli anni Cinquanta e che ancora oggi alimenta ampi dibattiti.

Dibattito e critica: perché le sue idee accesero la contesa

Le conclusioni di Friedman su cosa avesse causato la Grande Depressione e su come la moneta influenzi l’economia suscitarono risposte forti. Alcuni economisti accolsero con entusiasmo la sua empiria e il suo richiamo alla stabilità monetaria; altri, a partire da critici keynesiani e poi da studiosi come Paul Krugman, contestarono la centralità esclusiva della moneta in certi contesti, soprattutto quando i meccanismi finanziari sono complessi o le misure monetarie perdono efficacia in crisi profonde. La storia del dibattito è ricca: i lavori di Friedman hanno spostato la domanda, non l’hanno chiusa.

Lo stile di Friedman: chiarezza argomentativa e misura dei fatti

Una delle sue forze fu la capacità di parlare sia agli specialisti sia al grande pubblico. Accanto alla ricerca tecnica (articoli, dati, lavoro storico), Friedman coltivò la divulgazione come strumento di cambiamento: argomentazioni nette, esempi concreti, e una convinzione che la libertà economica fosse amica della prosperità. Non per questo mancavano passi più tecnici e compiti: i suoi lavori teorici sono tuttora punto di riferimento nelle analisi macroeconomiche.

L’eredità: un’eredità ambivalente ma duratura

Dire oggi se Friedman avesse “ragione” in ogni punto è riduttivo: molte delle sue intuizioni — l’importanza della stabilità monetaria, la necessità di pensare alle aspettative dei consumatori, il legame tra regole chiare e fiducia — sono entrate nel linguaggio e nelle pratiche economiche. Allo stesso tempo, alcune applicazioni politiche ispirate alle sue idee hanno prodotto risultati contrastanti, e il dibattito su equità, regolazione e ruolo dello Stato continua. Il fatto che il suo nome e le sue opere siano ancora discussi e citati è prova di una eredità intellettuale profonda.

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