Corso di storia dell'economia: Buchanan 1919

James McGill Buchanan 1919

James M. Buchanan — il padre della teoria delle scelte pubbliche

Un profilo in due righe

Economista statunitense (Murfreesboro, Tennessee, 1919 – Blacksburg, Virginia, 2013), Premio Nobel per l’economia nel 1986, James McGill Buchanan ha fondato la teoria delle scelte pubbliche (public choice): l’applicazione degli strumenti dell’analisi economica ai processi politici. La sua intuizione di fondo è semplice ma potente: politici, elettori e burocrati rispondono a incentivi, proprio come gli attori dei mercati. Per capire la politica, dunque, bisogna studiare le regole del gioco che orientano gli incentivi.

Dalle aule del Sud alla “Virginia School”

Dopo gli studi e l’avvio della carriera accademica, Buchanan insegnò nelle università del Tennessee (1948–50), della Florida (1951–56) e della Virginia (1956–68). Passò poi in California (1968–69) e quindi al Virginia Polytechnic Institute and State University (1969–83), dove istituì e diresse il Center for Study of Public Choice. Con il Centro si trasferì infine alla George Mason University, dove divenne professore emerito. Questo percorso diede identità alla cosiddetta “Virginia School” di economia politica: un approccio che unisce scetticismo verso i poteri discrezionali, attenzione alle istituzioni e una marcata preferenza per l’analisi delle regole costituzionali che vincolano l’azione dei governi.

Che cos’è la “teoria delle scelte pubbliche”

La public choice nasce da una domanda disarmante: perché dovremmo pensare che chi governa sia animato da puro altruismo, quando in tutti gli altri ambiti studiamo comportamenti autointeressati, ma vincolati da istituzioni?

  • Votanti: cercano benefici privati o di gruppo (servizi, trasferimenti, tutela di interessi locali).
  • Politici: desiderano il consenso per essere eletti o rieletti; tenderanno a favorire politiche con benefici concentrati e costi diffusi.
  • Burocrazie: puntano a budget più ampi, stabilità, prestigio (il “massimo del mandato” più che l’efficienza).

Dentro questo schema, fenomeni come pork barrel (spesa mirata a distretti), logrolling (scambio di voti: “io approvo il tuo progetto, tu il mio”) e rent seeking (caccia a rendite protette dalla politica) non sono abusi eccezionali, ma esiti prevedibili dati certi incentivi. La domanda cruciale diventa: quali regole istituzionali riducono questi distorsioni?

Dalle politiche agli “scacchieri di regole”: l’economia costituzionale

Buchanan sostiene che la politica non va giudicata solo per i risultati di breve periodo, ma per le regole che determinano sistematicamente quei risultati. Da qui l’idea di economia costituzionale: progettare cornici (costituzioni fiscali, vincoli di bilancio, procedure decisionali) che allineino gli incentivi dei decisori con l’interesse generale.
Ispirandosi a Knut Wicksell e alla tradizione italiana della finanza pubblica (De Viti de Marco), Buchanan propone sistemi in cui chi decide internalizza i costi delle proprie scelte: ad esempio, regole sul deficit che rendono più costoso finanziare oggi benefici scaricandone i costi sui contribuenti futuri, oppure quorum più alti per spese che generano forti esternalità negative.

Le opere essenziali (e cosa insegnano)

  • Public Principles of Public Debt (1958)
    Ribalta luoghi comuni sul debito pubblico: non è “magia contabile”, distribuisce oneri nel tempo e può creare illusione fiscale quando i costi non sono visibili.
  • The Calculus of Consent (1962, con Gordon Tullock)
    Il testo fondativo: analizza il trade-off tra costi decisionali (aumentano con quorum alti) e costi di imposizione (esternalità verso le minoranze, che aumentano con quorum bassi). Da qui una teoria delle regole di voto ottimali e del logrolling.
  • What Should Economists Do? (1964)
    Un manifesto: l’economista studia istituzioni di scambio e regole, non solo “allocazioni” statiche.
  • The Limits of Liberty (1975)
    Una teoria “contrattualista” dello Stato: come si passa dall’anarchia a un ordine politico accettato? Solo regole condivise possono preservare libertà e cooperazione.
  • Democracy in Deficit (1977, con Richard Wagner)
    Critica la deriva deficit-biased delle democrazie: gli incentivi politici portano a spesa oggi e tasse domani.
  • The Power to Tax (1980, con Geoffrey Brennan)
    Il governo come Leviatano: massimizza prelievo e dimensione. Servono costituzioni fiscali (vincoli, tax limits) per contenere il potere di tassare.
  • The Reason of Rules (1985, con Geoffrey Brennan)
    Perché le regole battono le soluzioni ad hoc: prevedibilità, credibilità e riduzione delle tentazioni opportunistiche.

(Altre raccolte e saggi: “Liberty, Market and State”, 1986, e numerosi volumi e articoli che consolidano il programma di ricerca.)

Concetti chiave spiegati con esempi quotidiani

  • Illusione fiscale: se finanzi una misura con debito o con tasse “nascoste” (es. inflazione), gli elettori sottostimano i costi. E la politica tenderà a usarla.
  • Bias al deficit: un bonus oggi, il conto domani. Se la regola lo consente, è razionale attuarlo; per questo Buchanan chiede vincoli ex ante.
  • Logrolling: due gruppi minoritari scambiano voti e finanziano entrambe le opere, anche se la somma dei costi supera i benefici sociali.
  • Rent seeking: categorie organizzate cercano protezioni, licenze, sussidi. Costi diffusi, benefici concentrati: incentivi perfetti per la cattura del decisore.

Perché ha vinto il Nobel (1986)

Il riconoscimento premia due contributi intrecciati:

  1. l’aver portato l’economia dentro la politica, mostrando come le istituzioni plasmano gli incentivi e quindi gli esiti collettivi;
  2. l’aver fondato l’economia costituzionale, che studia le basi contrattuali e procedurali delle decisioni pubbliche, non solo le politiche “di giornata”.

Dibattiti e critiche (e come risponde Buchanan)

  • “Troppo cinismo?” La public choice, dicono i critici, riduce la politica a puro interesse privato. Buchanan risponde: non è cinismo, è prudenza istituzionale; proprio perché esistono virtù e cooperazione, dobbiamo progettarle con buone regole.
  • “Regole vs flessibilità”: i vincoli possono irrigidire la politica in crisi. Buchanan replica che regole chiare con valvole d’emergenza sono preferibili a discrezionalità illimitata.
  • Pluralismo e beni comuni: approcci come quello di Elinor Ostrom mostrano cooperazioni dal basso. Per Buchanan è una conferma: istituzioni adeguate rendono possibili cooperazione e sostenibilità.
  • Comportamenti non egoistici: la behavioral public choice documenta motivazioni prosociali. Buchanan ammette che esistono, ma insiste: non si può basare un ordine politico su virtù rare; le regole devono funzionare anche quando la virtù scarseggia.

Eredità intellettuale e attualità

L’impatto di Buchanan è ovunque si discuta di riforme istituzionali: leggi di stabilità di bilancio, authority indipendenti, trasparenza fiscale, valutazione ex ante delle politiche, regole sul lobbying. La lezione più duratura è metodologica: prima le regole, poi le scelte. Se gli incentivi cambiano, cambiano anche i comportamenti e, alla lunga, cambiano gli esiti.

Una mini-guida alla lettura (per iniziare bene)

  1. The Calculus of Consent (1962) — per capire l’architettura della public choice.
  2. The Power to Tax (1980) — per la “costituzione fiscale” e il Leviatano.
  3. The Reason of Rules (1985) — per la filosofia delle regole.
  4. Democracy in Deficit (1977) — per i meccanismi del bias al deficit.
  5. The Limits of Liberty (1975) — per il fondamento contrattualista dell’ordine politico.

In una frase

Per Buchanan la buona politica non nasce da buone intenzioni, ma da buone istituzioni: se disegniamo regole intelligenti, riduciamo gli incentivi a sprecare, catturare, rinviare. E aumentiamo le probabilità che la democrazia mantenga le promesse.


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