Corso di storia dell'economia: Monetarismo



Il Monetarismo

Teoria, Politica Economica e Dibattito Critico

Introduzione

Il monetarismo costituisce una delle principali scuole di pensiero economico del secondo Novecento. Esso nasce in risposta alle difficoltà teoriche e pratiche del keynesianesimo, in particolare all’incapacità delle politiche fiscali espansive di contenere l’inflazione e la stagnazione economica verificatasi negli anni ’70. Elaborato e reso celebre da Milton Friedman e dalla Scuola di Chicago, il monetarismo pone al centro del sistema economico la quantità di moneta in circolazione e la stabilità monetaria come condizioni necessarie per una crescita equilibrata e per il controllo dell’inflazione¹.

1. Le basi teoriche del monetarismo

Alla radice della teoria monetarista si trova l’antica equazione di scambio formulata da Irving Fisher, espressa nella forma:

M V = P T
dove (M) rappresenta la quantità di moneta, (V) la velocità di circolazione, (P) il livello dei prezzi e (T) il volume delle transazioni reali. Friedman riprende questa equazione reinterpretandola in chiave dinamica: poiché la velocità di circolazione del denaro tende a essere relativamente stabile nel tempo, le variazioni nella quantità di moneta (M) determinano, nel lungo periodo, variazioni proporzionali del livello dei prezzi (P)².

In altri termini, un incremento dell’offerta di moneta, a parità di produzione reale, genera un aumento generalizzato dei prezzi: questa è la cosiddetta teoria quantitativa della moneta, di cui il monetarismo costituisce una moderna riformulazione.

2. La regola monetaria e la neutralità del denaro

Friedman elabora la propria posizione a partire dall’idea che la moneta sia “neutrale” nel lungo periodo, ossia che le variazioni monetarie non influenzino la produzione reale o l’occupazione, ma solo il livello generale dei prezzi³.

Da questo principio deriva la proposta di una “regola monetaria”: la banca centrale dovrebbe far crescere l’offerta di moneta a un tasso costante, proporzionale al potenziale di crescita dell’economia reale. Tale tasso, secondo Friedman, dovrebbe aggirarsi intorno al 3–5% annuo, evitando così sia espansioni monetarie eccessive (che causano inflazione), sia restrizioni che producono recessione⁴.

Questo approccio contrasta fortemente con la visione keynesiana, secondo cui l’intervento pubblico — attraverso politiche fiscali e monetarie discrezionali — può e deve essere utilizzato per stabilizzare l’economia. Per i monetaristi, invece, ogni intervento discrezionale è fonte di instabilità, poiché i ritardi temporali delle politiche economiche rendono spesso inefficaci o addirittura controproducenti le decisioni governative.

3. Inflazione e politica monetaria

Il principio fondamentale del monetarismo può essere riassunto nella celebre affermazione di Friedman:

“L’inflazione è sempre e ovunque un fenomeno monetario”⁵.

Secondo questa impostazione, l’aumento generalizzato dei prezzi non è dovuto a pressioni salariali o a shock esterni, bensì a un’espansione eccessiva della quantità di moneta in circolazione rispetto al prodotto reale. Di conseguenza, la lotta all’inflazione non deve basarsi su controlli dei prezzi o politiche fiscali, ma su una politica monetaria restrittiva e coerente, volta a ridurre la crescita monetaria.

Un esempio storico di applicazione del monetarismo fu la politica della Federal Reserve sotto la presidenza di Paul Volcker negli anni ’80: l’istituzione adottò tassi di interesse elevati per frenare l’inflazione, accettando temporaneamente una recessione. L’effetto a lungo termine fu la stabilizzazione dei prezzi, confermando in parte le previsioni monetariste.

4. Il ruolo del governo e del mercato

Il monetarismo si fonda su una fiducia profonda nel funzionamento spontaneo dei mercati. Friedman critica le politiche di intervento pubblico e la spesa in deficit, che secondo lui generano distorsioni e instabilità macroeconomica⁶. Il ruolo dello Stato deve limitarsi a garantire la stabilità monetaria, la tutela della concorrenza e la certezza delle regole.

Da ciò deriva una visione liberale della politica economica, favorevole a sistemi di tassi di cambio fissi o flessibili ma controllati, e contraria a manipolazioni frequenti della politica monetaria per fini politici o elettorali. In questa prospettiva, la banca centrale deve essere indipendente dal potere politico e orientata alla stabilità dei prezzi più che alla piena occupazione.

5. Critiche e limiti del monetarismo

Nonostante la sua influenza, il monetarismo è stato oggetto di numerose critiche. I neo-keynesiani hanno contestato la presunta stabilità della velocità di circolazione del denaro, dimostrando empiricamente che essa varia in modo significativo in risposta a mutamenti tecnologici, finanziari o di fiducia degli operatori⁷.

Altri economisti hanno osservato che la relazione tra crescita monetaria e inflazione non è sempre diretta, specialmente in economie aperte e complesse. Inoltre, l’applicazione rigorosa della regola monetaria ha talvolta comportato recessioni severe e aumento della disoccupazione, come accadde nel Regno Unito durante il governo Thatcher.

Negli anni successivi, il pensiero economico ha teso a integrare elementi monetaristi e keynesiani, riconoscendo la necessità di una politica monetaria stabile ma anche di strumenti fiscali mirati in situazioni di crisi. Da questa sintesi sono nate le moderne teorie neo-monetariste e le politiche seguite da molte banche centrali, come la Banca Centrale Europea, orientate al controllo dell’inflazione ma flessibili nel breve periodo.

Conclusione

Il monetarismo ha rappresentato una svolta nella teoria economica del XX secolo, ponendo l’accento sulla centralità della moneta e sulla necessità di una politica monetaria coerente e prevedibile. Sebbene alcune sue ipotesi si siano dimostrate eccessivamente rigide, esso ha contribuito in modo determinante alla comprensione dei rapporti tra moneta, inflazione e crescita economica.

La sua eredità è oggi visibile nella maggior parte delle banche centrali del mondo, le quali, pur adottando strumenti moderni come il targeting dell’inflazione, continuano a perseguire l’obiettivo di stabilità dei prezzi in linea con i principi monetaristi.

Note

  1. M. Friedman, A Theoretical Framework for Monetary Analysis, “Journal of Political Economy”, vol. 78, n. 2, 1970.

  2. I. Fisher, The Purchasing Power of Money, Macmillan, New York, 1911.

  3. M. Friedman, The Role of Monetary Policy, “American Economic Review”, 1968.

  4. M. Friedman, A Program for Monetary Stability, Fordham University Press, 1960.

  5. M. Friedman, Inflation and Monetary System, “Lecture at London School of Economics”, 1970.

  6. M. Friedman & A. Schwartz, A Monetary History of the United States (1867–1960), Princeton University Press, 1963.

  7. J. Tobin, Money, Credit and Capital, Yale University Press, 1965.

Bibliografia essenziale

  • Friedman, Milton, Essays in Positive Economics, University of Chicago Press, 1953.

  • Friedman, Milton, A Monetary History of the United States, 1867–1960, con Anna J. Schwartz, Princeton University Press, 1963.

  • Friedman, Milton, The Optimum Quantity of Money, Aldine, Chicago, 1969.

  • Tobin, James, Money, Credit and Capital, Yale University Press, 1965.

  • Blanchard, Olivier & Johnson, David R., Macroeconomics, Pearson, 2013.

  • Mankiw, N. Gregory, Principi di macroeconomia, Zanichelli, Bologna, 2022.

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